SUL MONTE ZERTEN
per sentieri dimenticati

Zerten, silenzioso testimone di una tragedia annunciata. La sera del 9 ottobre 1963 vide l’immane ferita aprirsi sul fianco del suo amico Monte Toc ma non potè far niente per aiutare lui e gli uomini della valle. L’evento di quella drammatica sera cambiò per sempre le sorti di queste valli e di questi monti, e dove una volta c’erano casere e mulattiere oggi vi sono ruderi di pietra e sterpaglie. La vita pastorale che per secoli ha unito gli uomini a monti come il Zerten o il Toc ora non esiste più, rimangono solamente il silenzio e le ferite inferte alla natura dall’ottusità umana. Ripercorrere questi sentieri dimenticati, oltre a ridarci una dimensione più autentica del camminare, ci porta a capire meglio le tante storie di fatica e sofferenza che hanno caratterizzato la vita delle genti di montagna. Queste genti che probabilmente oggi non vivono più solo di ciò che la montagna può dare loro, hanno mantenuto una ospitalità originale. E’ il caso di Orazio, un uomo che vive solo in una baita restaurata immersa nel bosco silenzioso ai piedi del Monte Zerten, che ci ha accolto amichevolmente offrendoci una birra e narrandoci di come i cervi e le volpi si siano abituati a lui e di come la natura si stia riprendendo ciò che un tempo gli era stato tolto.
ERTO (località Prada) 750 m. – MONTE ZERTEN (o CERTEN) 1883 m.
Punto di partenza: Casere Prada (750 m) sulla rotabile per Pineda
Dislivello: 1133 m circa
Tempo complessivo: 6 ore circa
Difficoltà: E-EE Itinerario in ambiente solitario e selvaggio alquanto impegnativo nel tratto superiore per la difficoltà di trovare il sentiero in parte scomparso.
Segnaletica: mulattiera e sentiero senza segnavia CAI. Qualche raro bollo rosso e sporadici ometti nella parte alta.
Relazione tecnica:
Superata l’imponente diga del Vajont si prosegue in direzione di Erto, giunti all’altezza della palestra di roccia si gira a destra imboccando una stradina che oltrepassa la spaventosa frana del MonteTòc e risale la valle in sinistra idrografica. Oltrepassato l’abitato di Pineda e le Case Liron sullo sbocco della Val Mesaz si prosegue fino in località Prada (m.750) dove si stacca una stradina sulla destra che risale la Val Lagarìa, la percorriamo fin dove finisce l’asfalto e parcheggiamo l’auto. Ora si prosegue per circa cinquecento metri su strada sterrata e giunti ad un tornante solcato da un ruscello si piega decisamente a sinistra ad imboccare un sentierino che taglia a nord il bel bosco di faggi. Superati alcuni ruderi di vecchie casere si sale alla restaurata Casera Col di Cùare 1107 m.; da qui bruscamente verso est con ripido e sinuoso sentiero, in parte tagliato nella roccia, si va fin sotto la cima dell’Ardot. Si piega ora a sud per un ripido canalone ricco di vegetazione fino a giungere sugli erti prati che ricoprono la cima. Senza percorso obbligato ci si fa largo tra le sterpaglie fino a giungere sulla panoramicissima vetta costituita da un cumulo di sassi con infisso un palo di legno a m.1883 (libro di vetta in un vasetto di vetro). Da qui il panorama spazia dal pauroso appicco a est verso la forra dove nasce il torrente Vajont all’ampio bacino a ovest ricoperto dalla tristemente nota frana del Toc. Da una parte il massiccio del Duranno dall’altra la bianca parete nord del Col Nudo e verso nord-est via via tutte le Dolomiti Friulane: che spettacolo! Ettari di foreste e rocce senza la minima traccia antropica, dove anche gli animali più elusivi sono liberi di vivere questo straordinario ambiente. Con un pizzico di malinconia ora conviene tornare sui propri passi e ridiscendere lungo il medesimo itinerario di salita.
Cartografia: Editrice Tabacco foglio 021
Bibliografia: “Dolomiti Orientali Vol.II” di A. e C. Berti, Ed. C.A.I.- T.CI. – Milano 1982.
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Punto di partenza: Casere Prada (750 m) sulla rotabile per Pineda
Dislivello: 1133 m circa
Tempo complessivo: 6 ore circa
Difficoltà: E-EE Itinerario in ambiente solitario e selvaggio alquanto impegnativo nel tratto superiore per la difficoltà di trovare il sentiero in parte scomparso.
Segnaletica: mulattiera e sentiero senza segnavia CAI. Qualche raro bollo rosso e sporadici ometti nella parte alta.
Relazione tecnica:
Superata l’imponente diga del Vajont si prosegue in direzione di Erto, giunti all’altezza della palestra di roccia si gira a destra imboccando una stradina che oltrepassa la spaventosa frana del MonteTòc e risale la valle in sinistra idrografica. Oltrepassato l’abitato di Pineda e le Case Liron sullo sbocco della Val Mesaz si prosegue fino in località Prada (m.750) dove si stacca una stradina sulla destra che risale la Val Lagarìa, la percorriamo fin dove finisce l’asfalto e parcheggiamo l’auto. Ora si prosegue per circa cinquecento metri su strada sterrata e giunti ad un tornante solcato da un ruscello si piega decisamente a sinistra ad imboccare un sentierino che taglia a nord il bel bosco di faggi. Superati alcuni ruderi di vecchie casere si sale alla restaurata Casera Col di Cùare 1107 m.; da qui bruscamente verso est con ripido e sinuoso sentiero, in parte tagliato nella roccia, si va fin sotto la cima dell’Ardot. Si piega ora a sud per un ripido canalone ricco di vegetazione fino a giungere sugli erti prati che ricoprono la cima. Senza percorso obbligato ci si fa largo tra le sterpaglie fino a giungere sulla panoramicissima vetta costituita da un cumulo di sassi con infisso un palo di legno a m.1883 (libro di vetta in un vasetto di vetro). Da qui il panorama spazia dal pauroso appicco a est verso la forra dove nasce il torrente Vajont all’ampio bacino a ovest ricoperto dalla tristemente nota frana del Toc. Da una parte il massiccio del Duranno dall’altra la bianca parete nord del Col Nudo e verso nord-est via via tutte le Dolomiti Friulane: che spettacolo! Ettari di foreste e rocce senza la minima traccia antropica, dove anche gli animali più elusivi sono liberi di vivere questo straordinario ambiente. Con un pizzico di malinconia ora conviene tornare sui propri passi e ridiscendere lungo il medesimo itinerario di salita.
Cartografia: Editrice Tabacco foglio 021
Bibliografia: “Dolomiti Orientali Vol.II” di A. e C. Berti, Ed. C.A.I.- T.CI. – Milano 1982.
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